Il monte Torricella ed i boschi del Cerasolo

Una vetta, una dorsale, valli e boschi nel cuore del Velino alla ricerca dei colori dell'autunno.


Avevamo solo un desiderio, anzi due, entrambi semplicissimi da realizzare: fare una bella e lunga passeggiata e farla nel contesto di un ambiente autunnale dai gialli e rossi accesi che di più non si può. Il meteo prometteva una giornata limpida e luminosa, le escursioni termiche delle ultime settimane avrebbero dovuto far indossare ai boschi il loro abito più bello, ci siamo messi a lavorare per decidere la meta. Un po’ per caso e all’ultimo momento, dopo la prima idea di salire Punta ZIS e il Morrone dal vallone dell’Asino, praticamente partendo da sotto l’imbocco della galleria autostradale di San Rocco, mi è ritornata in mente una vecchia lettura che consigliava il bosco del Cerasolo per vivere alla grande i colori autunnali. Ho frugato nei miei ricordi e sulla carta ed ho inventato, si fa per dire, sempre più o meno in zona, quello che mi sembrava un percorso diverso, un anello insolito fuori dai soliti percorsi e che mi avrebbe regalato anche uno spicchio di territorio che non conoscevo ancora: dal valico delle Chiesole per il vallone del Morretano avremmo toccato il monte Torricella e prima per cresta e poi in valle saremmo tornati al valico attraverso il bosco del Campitello e del Cerasolo percorrendo la valle Quartarone, volevamo goderci a pieno una intera giornata autunnale in tutte le sue sfumature di tonalità e clima, attraversare il bosco ancora scuro e freddo nelle prime ore del giorno, vederlo risvegliarsi lentamente e scaldarsi ai primi raggi del sole salendo sulle creste spoglie della Torricella da dove si gode una vista grandiosa su quasi tutto il gruppo del Velino, volevamo affacciarci sulla valle del Puzzillo con vista sul rifugio Sebastiani e sul Costone e scorrendo dentro l’ampia valle del Campitello avremmo raggiunto il rifugio della forestale da dove avremmo potuto confrontarci con le coste dell’Uccettù come mai era accaduto prima; per chiudere, e se i colori fin li non ci avessero ancora riempito gli occhi, il rientro interamente sotto la volta del bosco del Cerasolo, avrebbe finito di appagarci. Queste aspettative insieme all’assenza di grossi dislivelli, che rendeva il giro solo una lunga passeggiata, ci davano la speranza di poterci divertire oltre che di portare a casa molte belle immagini. Arriviamo al valico delle Chiesole poco prima delle otto, i raggi del sole sono radenti, tagliano alti sopra i profili dell’Orsello ed il bosco di Prato Agapito ha ancora colori tenui e sfumati che tendono al ruggine; parcheggiamo nell’ampia area di sosta e prendiamo la strada che scende verso i prati con i punti fuoco, costeggiamo il bosco e la dorsale che scende dal monte Fratta lasciando l’area pic-nic sulla destra fino ad incontrare sulla sinistra e dopo un quarto d’ora dal parcheggio, l’imbocco del sentiero per la valle del Morretano, un cartello su un albero indica il monte Torricella, circa 2 ore e un quarto il tempo per raggiungerlo. Inutile fare foto, all’interno del bosco la luce è scarsa, bella invece l’atmosfera che ci circonda, il fogliame ancora in ombra restituisce una tonalità ovattata dai colori grigio pastello; i gialli ed i rossi sono ancora spenti e bagnati ma la sensazione è che al primo raggio di sole sarà un autentico trionfo di colori. Superate le due grosse pietre che impediscono l’accesso ai mezzi motorizzati seguiamo l’ampia traccia, praticamente quasi un strada, che sale con costante e leggera pendenza, rimaniamo costantemente al buio coperti come siamo dal cono d’ombra che le dorsali del monte Fratta e Cornacchia alzano ancora a dismisura sopra il fondo valle; qualche radura lascia intravedere sulla destra i profili della dorsale che costeggiamo, i gialli ed i rossi del bosco si fronteggiano con l’azzurro luminoso del cielo creando tavolozze fluorescenti, è solo l’aperitivo di quanto ci toccherà da lì a poco. Dopo circa un’ora dall’inizio del sentiero intravediamo oltre le ultime coltri di alberi, le radure della valle del Morretano, gli spazi si allargano lentamente e anche la luce si fa più intensa, abbandoniamo l’ampio sentiero di fondo valle e prendiamo a seguire una piccola traccia sulla destra che si inoltra nel bosco tagliando in leggera pendenza il fianco della valle; probabilmente una traccia di calpestio degli animali, forse una delle tracce secondarie e tratteggiate riportate sula carta, di fatto si procede a vista intuendo in alto la dorsale che scende dalla Torricella. Attraversiamo una radura ancora in ombra e quando rientriamo nel bosco a terra la traccia è molto più precisa, non ci sono segnali ma un filo di calpestio esiste, lo continuiamo a seguire in salita; insieme a noi sale anche il sole, ben presto veniamo investiti dai primi raggi caldi e i colori si accendono, come lance si infilano ovunque, danno dimensione e vita a ciò che sfiorano, i tronchi ancora scuri degli alberi solo linee contorte che incorniciano le improvvise fiammate di colore della volta del bosco. Un tripudio di rossi e di gialli e tutte le tonalità che precedono e seguono questi caldi colori si accavallano e si confondono; il sottobosco, gli alberi, sembrano avvampare di fuoco, mille sono i riflessi e le sfumature, anche noi diventiamo colorati in completa simbiosi col mondo che abbiamo intorno, anche l’aria che respiriamo sembra essere colorata. Indescrivibili quei primi attimi di luce, di colore, ora intenso ed ora ovattato, veniamo storditi letteralmente da tanta cromia e come nel mezzo di una sbornia non si riesce a distinguere con esattezza i contorni del tutto; è come stare all’interno di una bolla di colore diffuso, il sole ancora indeciso non carica di luce ma accarezza le foglie, restituisce delicate sfumature, vaporizza l’aria intorno a noi, nebulizza e dissolve i colori, ogni molecola che fa parte di questo mondo che si risveglia è colore delicato e ricco insieme. Probabilmente a forza di stare col naso all’insù perdiamo la traccia, per fortuna il bosco è rado sta lasciando spazio a qualche radura, seguiamo la nostra esperienza per puntare verso la cresta e con ampie svolte alleggeriamo la salita; entriamo e usciamo da quelle che ormai sono più macchie di colore che alberi, ci alziamo e gli orizzonti si allungano, il cielo si carica di colore, diventano ampi i contorni dell’azzurro rispetto alle chiome degli alberi, immensa è la bellezza di tutta questa tavolozza che ci circonda. Salendo il bosco lo lasciamo sotto di noi, ci alziamo sulla cresta che ad ondate successive si divide in valli e fossi e si ricompone fino a formarne una sola che raggiunge il culmine della vetta. Un ometto ed una croce posticcia ci attendono sulla cima, il sole è ormai alto, la luce ha sepolto le ombre e nei boschi intorno si rincorrono i colori come in una tavolozza di un pittore indeciso; sopra queste onde cromatiche e sopra i profili delle creste vicine gli orizzonti si allungano fino ai Sibillini e al Gran Sasso, fino alla Majella fino al Terminillo; il Morrone, l’Uccettù sembra poterli sfiorare, la piramide del Velino è poco oltre il Costone, che meraviglia! La discesa è sul versante opposto di quello di salita, dopo una breve sosta in vetta alla Torricella prendiamo a scendere la cresta dalla parte opposta rispetto alla direzione da dove siamo arrivati, prima sul filo poi ci teniamo leggermente sulla destra, sfiliamo sotto la cima del Morretano e tocchiamo la sella della Torricella che viene attraversata dal sentiero che sale dalla piana del Puzzillo e che continua dalla parte opposta verso la piana del Campitello, son passate circa tre ore dall’inizio dell’escursione. Seguiamo questa esile traccia ed entriamo dentro l’ampio vallone, dopo alcuni tratti incerti e ovvii solo alla logica dell’escursionista la traccia si fa più precisa e marcata, sulle pietre a terra ogni tanto anche qualche scolorito e vecchio segnavia giallo rosso. Si scende leggermente di quota nel mezzo di una vasta prateria, quello che basta per far sparire gli orizzonti, solo la lunga e inaspettatamente ripida dorsale della Torricella rimane sulla nostra destra, una costante fin tanto non ci immergiamo nella parte più profonda della valle del Campitello dove quasi tutti gli orizzonti spariscono. Seguiamo la traccia nella piana fin tanto si può, quando il sentiero sembra virare e scendere sulla destra, accostandosi alla parete della Torricella e aggirando delle dorsali che si alzano davanti a noi abbiamo la sensazione che si allontani dalla giusta direzione, ci affidiamo alla carta e a noi stessi. Dobbiamo raggiungere il rifugio della forestale che è riportato sulle carte e da cui parte il sentiero per la valle del Quartarone che ci riporterà a chiudere l’anello; il rifugio si trova a quota 1700 mt. sotto le coste dell’Uccettù, cento metri più in basso di dove siamo, tutte le strade portano a Roma e anche in questo caso tutte le direzioni sembrerebbero convergere verso il rifugio, decidiamo di fare di testa nostra, abbandoniamo il sentiero, saliamo le piccole dorsali che abbiamo davanti alla ricerca della piana dove si trova il rifugio ma troviamo solo il muro di un bosco magnifico e dai colori infiammati. Sopra la volta del fogliame svetta la parete dell’Uccettù, dentro il bosco invece non sembra esserci una traccia che si possa definire tale, ma ero certo che il rifugio si dovesse trovare laggiù sotto e oltre il bosco per cui prendiamo a scendere, schivando piccole formazioni rocciose; un pendio neanche troppo scosceso scende costantemente verso valle, tra un alto strato di fogliame da poco caduto ci inoltriamo dentro un bosco iridescente, infiammato, scivoliamo su un tappeto di foglie crepitanti, le tonalità dal rosso al giallo fino al marrone sono dovunque, talmente dovunque che ci sembra un momento irreale e frutto della nostra suggestione. Arriviamo sul limitare di un precipizio, scopriamo la parete dell’Uccettù dall’altra parte della valle, montagna tanto insignificante se vista da Ovest quanto bella, ripida e rocciosa se vista da Est; le fronde gialle degli alberi ci forniscono cornici ideali per le mille fotografie che scattiamo; non perdiamo di vista l’obiettivo del rifugio però, non lo vediamo ancora tra gli alberi, ma intuiamo la strada che taglia in due il fondo valle, non può che essere laggiù. La carta parla chiaro, il rifugio sulla piana si trova in prossimità dello spigolo Nord dell’Uccettù, non possiamo vederlo da dove siamo ma di certo la direzione è giusta; scorgiamo la vasca per la raccolta d’acqua piovana che è riportata anche sulla carta, il rifugio è lì da quelle parti. Continuiamo a scendere immersi in una bolla a tratti rosa e a tratti gialla, è letteralmente la natura più bella che abbia mai avuto modo di vivere, poi il pendio inizia ad appiattirsi, si spiana e siamo sul bordo del bosco che lascia spazio all’ampia radura, alla prateria dominata dal costone dell’Uccettù, da qui montagna vera ed incombente. Il rifugio è trecento metri davanti a noi, c’è già una coppia nei suoi pressi, una coppia di escursionisti che come noi sembrano sorpresi e presi dalla bellezza dell’ambiente che ci circonda. La solita perlustrazione intorno e dentro il piccolo rifugio, sulla carta chiamato semplicemente della forestale mentre sulla parete accanto alla porta una scritta lo appella come rifugio del Campitello, la struttura è poco curata ma una porta assicura la chiusura dell’unico ambiente dove un piccolo camino permette di accendere il fuoco e dove due brande possono assicurare un giaciglio al limite del confortevole ma comunque asciutto. Sostiamo per una ventina di minuti accanto al rifugio, un po’ per una meritata sosta e per rifocillarci, soprattutto per goderci questa valle, i boschi, la parete scura e rocciosa dell’Uccettù, un tripudio di colori, di atmosfera ovattata, di controluce che sono in completa sintonia col silenzio devastante e “rumoroso” di questo angolo di paradiso. Dobbiamo rientrare, a malincuore e lentamente ci riprepariamo, il sentiero da prendere è alle spalle del rifugio, una bandierina su una roccia indica il 2E, poche decine di metri dentro il bosco in leggera salita ed una marcata traccia si stacca sulla sinistra, impossibile mancarla, scorre all’interno di un’ampia radura, lasciamo il 2E che riporterebbe verso il passo della Torricella o verso le coste della Torricella stessa e prendiamo per la valle Quartarone. Ben presto la traccia diventa quasi una carrareccia ampia, scorre con leggera pendenza all’interno del bosco del Cerasolo che quasi subito si fa fitto e dalla volta impenetrabile. Non c’è la sensazione di camminare all’interno di una valle, piuttosto su un pianoro confinato dalla costa della Torricella, c’è invece quella che ad Ovest sprofondi di nuovo, la sotto, al limitare del bosco che lascia intravedere la montagna di fronte (il monte Ginepro), in quella che è la valle profonda dove scorre il sentiero che riporta a Corvaro, la valle dell’Asino. Ogni tanto una bandierina su un albero o su una roccia affiorante, la strada è ben marcata, siamo soli e senza orizzonti, il bosco è impenetrabile, non abbiamo la traccia sul GPS e ci affidiamo a quella a terra e alla carta; dopo più di un’ora che camminiamo a passo sostenuto la monotonia inizia a farci pensare, cercavo nei pochissimi spiragli di intuire gli orizzonti intorno, percepivo solo quello che doveva essere il monte Ginepro il che voleva dire che avevamo ancora tanto da camminare, non intuivo il Cava, figuriamoci il San Rocco, tra gli alberi si intravedeva però un orizzonte più luminoso, quasi azzurro che doveva essere l’ampia sella tra le dorsali che scendevano dal San Rocco e dalla Torricella, la bussola ci rassicurava che era in direzione Nord-Ovest, quella giusta per uscire da quel labirinto. Volevamo accorciare il percorso e questo punto non vedevamo anche l’ora di uscire dal bosco, per giunta ormai scarico di foglie e di colori, abbandoniamo la strada monotona, tagliamo tra gli alberi seguendo l’istinto e la bussola; per una ventina di minuti su e giù dentro angoli impervi di bosco, attraversando piccoli fossi e cuscini di fogliame, saliamo piccole dorsali inseguendo spiragli illusivi di azzurro alla ricerca di un minimo di orizzonte, un occhio sempre alla bussola per non vagare a torto. Mi sembrava impossibile non intuire la dorsale che saliva al San Rocco e poi al Cava, solo dopo ho capito che ci stavamo trovando sull’ampia sella e che quindi era troppo larga la cupola di bosco per potere vedere qualsiasi cosa, ma non abbiamo perso fiducia e abbiamo continuato ad inseguire la bussola; quasi all’improvviso, così come in un attimo ci si trova all’interno di una selva e non vedi più nulla di ciò che hai intorno, dopo aver superato l’ennesima piccola dorsale intravediamo un chiarore più intenso in fondo alla discesa successiva. Lo inseguiamo e atterriamo su una strada, di certo dove saremmo arrivati se avessimo continuato a seguire il sentiero, nei pressi dei prati di Ceraso, giusto in tempo a rompere le scatole ad un gruppo di mucche che stavano pigramente ruminando distese al sole; finalmente una radura e finalmente qualche riferimento all’orizzonte, la direzione giusta è confermata dalla sagoma della dorsale che sale al San Rocco. Davanti abbiamo poco più di un paio di chilometri di sentiero, ormai una strada a tutti gli effetti, entriamo e usciamo dal bosco svariate volte, i colori intensi dell’autunno ci continuano a far compagnia fin quando non compare, bianca come il marmo la sagoma lunga del monte Orsello. Sono le tre del pomeriggio quando chiudiamo l’anello, stanchi ma appagati, non potevamo chiedere giornata migliore per farci una scorpacciata di colori autunnali; è vero, il bosco del Cerasuolo è il posto adatto per godere dei colori dell’autunno, mancano quasi completamente gli aceri lungo il percorso e il caratteristico rosso di questo bell’albero, ma i faggi in questo periodo non sono da meno, soprattutto laggiù, sotto l’Uccettu’, una valle isolata e forse per questo un vero gioiello da non perdere.